In Inghilterra, Germania, Svizzera e Francia i vegetariani proclamano, sia per principio di morale, o di religione, sia a scopo sanitario l'astinenza d'ogni sorta di carne. Invocano, in loro aiuto, la conformazione naturale dei denti e della mascella umana, e vogliono che l'uomo possa viver bene, anzi meglio e più lungamente, contentandosi puramente di quanto la Provvidenza fornisce nel regno vegetale. Abborro ogni disputa e lascio il mondo come l'ò trovato, tanto più, che l'esperienza mi convince, che ogni disputa non serve che a far perdere l'appetito, ci arrischia il regalo d'una malattia di fegato e poi ci lascia più cretini di prima. Nè, vo' soffermarmi un solo secondo alla questione dei denti e della mandibola umana. Se, da che mondo è mondo, si mangia carne e verdura, è segno che la Provvidenza ci à dato denti sì per l'una che per l'altra. Chi ama la carne non disprezzi il fratello che vuol nutrirsi di erba, e costui tolleri cristianamente che l'altro appaghi l'appetito col manzo e si divori delle costolette. La teoria e la pratica sono due sorelle che non si sono mai vedute e che forse, in questo mondaccio, sono destinate a non incontrarsi nè abbracciarsi mai. Peccato, perchè la prima è bella, affascinante, da far perder la testa, la seconda d'una bontà e d'una utilità impareggiabile! Ma lasciamola lì, che ognuno viva, dunque, a suo modo, in santa pace e che Domineddio ci benedica tutti!
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è mondo, si mangia carne e verdura, è segno che la Provvidenza ci à dato denti sì per l'una che per l'altra. Chi ama la carne non disprezzi il
In Oriente, dove l'aglio è appunto più dolce del nostro, lo si spolverizza e lo si usa come da noi il pepe. A togliere all'alito il suo odore, vuolsi che giovi il masticar prezzemolo, fave fresche, foglie di ruta similmente fresche e la bieta cotta sotto la cenere. Un bulbo d'aglio schiacciato applicato ai calli, dopo un pediluvio prolungato, li leva facilmente. L'aglio guarisce la pipita alle galline, allontana le serpi e le cimici, è una ghiottoneria degli stornelli. I milanesi dicono: mangia aj, per stizzire. E i toscani: Casa mia, donna mia, pane e aglio vita mia.
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ghiottoneria degli stornelli. I milanesi dicono: mangia aj, per stizzire. E i toscani: Casa mia, donna mia, pane e aglio vita mia.
L'Albicocco è albero originario dell'Armenia, indigeno da noi à foglia caduca. Ama terreno leggero, fresco, bona esposizione, viene meglio in spalliera. Si moltiplica per semi, deperisce dopo i 20 anni. Fiorisce in marzo dà frutti in giugno e luglio. Nel linguaggio delle piante significa: Primizia. L'albicocco è selvatico in China e sono usitatissimi i suoi chicchi per ricavarne olio. Se ne contano molte varietà: le primaticcie sono l'albicocca pesca e la nostrale con nocciolo amaro. Le migliori per grossezza e sapore sono quelle di Nancy. La qualità più grossa di Germania, è anche più insipida. L'albicocca, o meliaca matura, è di una delicatezza superlativa, ma la sua maturanza passa prestissimo. Si mangia fresca o si fa essicare, di videndola in due e levandone il chicco. Cocendola se ne fa marmellata, gelatina, sciroppo. Celebre la sua confettura di Clermont-Ferrant. Si conserva nell'aquavite, si candisce. Della mandorla dolce se ne fa ingrediente di pasticceria e condimento a leccornerie da dessert.
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insipida. L'albicocca, o meliaca matura, è di una delicatezza superlativa, ma la sua maturanza passa prestissimo. Si mangia fresca o si fa essicare, di
L'Alchechingero o Fisalide, è una radice serpeggiante, perenne dei boschi d'Italia e di Germania. Da maggio ad agosto à fiori bianchi, viene in piena terra, in esposizione ombrosa. Se ne conoscono 14 varietà. La specie, coltivata anche da noi, che proviene dal Perù, si chiama physalis-pubescens o peruviana a caule più alto e ramoso, è pianta erbacea perenne, da serra perchè non resiste sempre ai geli. Ama terra sostanziosa e leggera, dà bacche giallognole dolci-acidule, della grossezza d' un lazzeruolo, ravvolte in un calice vescicolare, pure gialliccio, e si mangia come frutta da tavola. Il suo nome di physalis, dal greco physa, vescica, perchè il frutto o bacca glandulosa e biloculare, è chiuso in un calice gonfio e vescicoloso. Il seme à virtù produttiva per 8 anni. L'infelice Carlotta, imperatrice del Messico, ne era ghiottissima. In medicina sono diuretiche, rinfrescative, eccellenti nella nefrite, idropisia, ritenzione d'orina. Vogliono concilii il sonno. Nel linguaggio dei fiori: Errore. I Romani la chiamavano herba vescicatoria. La Phisalis-Alkikingivescicaria, a palloncini, produce bacche ritenute narcotiche, ma che pure, coltivata, sono bonissime a mangiarsi. È pianta erbacea perenne dei luoghi sassosi. Più narcotica è la corteccia della sua varietà Physalis somnífera, volgarmente: Solatro sonnifero.
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giallognole dolci-acidule, della grossezza d' un lazzeruolo, ravvolte in un calice vescicolare, pure gialliccio, e si mangia come frutta da tavola. Il
Radice biennale indigena carnosa, tonda, zuccherina, originaria dalle coste eurepee dell'Atlantico e del Mediterraneo. Principali varietà: la campestre, rossa all'esterno, screziata di bianco e roseo all'interno, e la gialla oblunga e rotonda che servono specialmente per il bestiame. Le mangiereccie sono: la bianca di Slesia bianca all'interno ed all'esterno detta Beta Cycla (in francese Navet) che è quella che contiene maggior quantità di zuccaro, e la rossa preferita per gli usi domestici ed è la più nutritiva, ma è pur quella che ingrossa meno. La barbabietola contiene il 88 % di acqua. Si spargono i semi in febbraio e marzo, in terreno fresco, profondo, pingue. I semi ànno virtù geminatrice fino ai 6 anni. Si colgono i frutti in agosto. Si mangia cotta (meglio al forno) condita in insalata, col sedano, la patata, le cipolle, col crescione. Serve di horsd'oeuvre, colle olive, le sardine, ecc. La vogliono alquanto indigesta. Dalla barbabietola Cycla, quando è novellina, se ne levano le foglie dette da noi erbette che si mangiano bollite, e servono nella minestra e a marinare le zuppe. I suoi nervi, quando è invecchiata, diconsi da noi cost (in francese còtes de poirèesj, e si mangiano concie con burro, sale e cacio, richiedono molto condimento e le foglie (bied) vengono pure usate nelle zuppe e negli erbolati (scarpazza) e nelle medicazioni vescicatorie. La barbabietola attualmente è coltivata in grande, onde cavarne zuccaro. Troviamo nominata la barbabietola da antichissimi autori, ma con poca lode.
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. Si mangia cotta (meglio al forno) condita in insalata, col sedano, la patata, le cipolle, col crescione. Serve di horsd'oeuvre, colle olive, le
II Broccolo è della famiglia numerosa dei cavoli. Si seminano da aprile fino a giugno in luna vecchia. Il seme à durata germinativa fino a 6 anni. Vuole terreno lavorato e concimato, si trapianta ingrassato nuovamente in settembre ed ottobre. Bisogna guardarlo dal gelo. È cibo molto saporito, benchè per taluni molto indigesto. Si mangia cotto in insalata o al burro, oppure con salsa au gratin, con cacio parmigiano. È companatico del tempo quaresimale. Varietà: il Cavol-fìore (botrytis) e il Cavol-rapa (gongyloides). Il broccolo si distingue dal cavol-fiore per le foglie più verdi e perchè porta bottoni più sviluppati, distanti e separati da foglioline. Del broccolo e del cavol-fiore se ne mangia il fiore ancora immaturo, e del cavolrapa se ne mangia la radice. I migliori vengono in Romagna, Sicilia e Malta, da noi celebri quelli di Tremezzina sul Lago di Como. Dei broccoli in particolare, la storia non ci tramanda nulla, e tutti li confondono coi cavoli. Ecco due maniere di mangiare i broccoli o cavoli-fiori: 1.° In salsa bianca. Fate cuocere i broccoli nell'acqua salata con un pizzico di farina, e lasciateli sgocciolare; disponeteli ancor caldi su di un piatto e versatevi sopra la salsa seguente: Fate fondere in una casseruola tanto come un ovo di burro con sale e pepe, aggiungendovi un cucchiaio di farina, e poco per volta, rimestando sempre, un bicchiere di acqua bollente. Cotta la farina, ritirate la salsa dal fuoco e legatela con un tuorlo d' uovo sbattuto prima con un filo di aceto, oppure con una noce di burro, senza più rimettere la salsa al fuoco. — 2.° In insalata. Bolliti nell'acqua salata e sgocciolati i broccoli e asciugati con una salvietta, disponeteli in un'insalatiera. Preparate a parte la salsa di olio, aceto, capperi, due o tre acciughe e prezzemolo triti, versatela sui broccoli. — Da noi corre questo detto:
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, benchè per taluni molto indigesto. Si mangia cotto in insalata o al burro, oppure con salsa au gratin, con cacio parmigiano. È companatico del tempo
Il Carciofo, della famiglia dei cardoni, è un caule di 5 o 6 piedi, biennale, indigeno. Vuole esposizione meridionale, essere difeso dai freddi, terreno lavorato, asciutto, ricco. Ama molt'acqua, il gelo l'uccide. Si propaga per semi, getti, o meglio per polloni dei vecchi carciofi, in marzo ed aprile ed anche in maggio, in luna vecchia. Nel linguaggio delle piante: Sei noioso. Il seme conserva la sua virtù produttiva fino a sei anni e più. È una verdura delle più delicate, sana, saporita e ghiotta. Quello che si mangia è il fiore immaturo, che è fatto a scaglie ed à la figura d'una pigna. Sono rinomati quelli di Genova, migliori quelli di Sardegna. Si mangiano tenerelli crudi con pepe ed olio, per antipasto, cotti all'olio, al burro, si lessano, si friggono impannati alla padella, alla grata, si accoppiano ad ogni piatto, ai quali servono anche di elegante e saporito ornamento. Sono nutrienti e contengono molto tannino. Se il carciofo è giunto alla sua perfetta maturanza e grossezza normale, lasciatelo riposare due giorni prima di mangiarlo, sarebbe troppo irritante. Va lavato in grand'acqua, e messo a cocere in acqua bollente e salata, coperto solo per tre quarti, non lasciarlo stracocere. Il carciofo cotto all'acqua, freddo che sia, è eccellente coll'olio. Dei ricettacoli del carciofo cavasi amido.
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una verdura delle più delicate, sana, saporita e ghiotta. Quello che si mangia è il fiore immaturo, che è fatto a scaglie ed à la figura d'una pigna
coliche. Francesco Gallina, medico piemontese, forse da Cuneo, che fioriva all'alba del secolo XVII, raccomanda di mangiare le più grosse, — perchè sono migliori di tutti li marroni, e se per lungo tempo si conservano si fanno più saporite. E suggerisce alle ragazze bionde, di adoperare il decotto delle loro buccie per conservare il dorato dei loro capelli. È voce di scienza popolare, che mangiando le castagne crude, si popoli la capigliatura di cavalieri, erranti. Raccolgoper ultimo la spiegazione che mi fu data da un R. Padre Oblato di S. Sepolcro a Milano, sulla espressione: far marrone. Egli dunque mi diceva, che viene da questo, che chi mangia i marroni difficilmente lo può nascondere e ne è quasi sempre sorpreso. Tutto per quello scandaloso matrimonio col dio Eolo.
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. Egli dunque mi diceva, che viene da questo, che chi mangia i marroni difficilmente lo può nascondere e ne è quasi sempre sorpreso. Tutto per quello
Da noi scarsamente si coltiva perchè cibo piuttosto grossolano. È comune invece nella Siria, nell'Egitto ed in altre regioni orientali. Nel linguaggio delle piante: Sei villano. — Ve ne sono due varietà: la bianca e la oscura, migliore quest'ultima. È coltivato pure in Spagna, dove entra come primario ingrediente nella loro olla potrida e lo chiamano garavança, e dove viene d' una grossezza e bellezza rimarchevole. Sono i ceci fra i legumi più difficili a cocersi, e però si devono mettere in bagno d'acqua la sera prima e farli cocere molto, con acqua piovana, e se con quella di pozzo, mettervi della cenere, saranno più teneri e coseranno più presto. Da noi si mangia tradizionalmente colla carne porcina il dì dei morti, costumanza che risale agli antichi Romani, in memoria del ratto delle Sabine. Nel genovesato, colla farina di cece mescolata ad olio, sale ed acqua, se ne fa tortellacci, ed un'altra pasta, detta panizze, che si frigge o si mette in stufato. Il cece è menzionato dalla Bibbia al libro dei Re — e racconta che quando Davide giunse agli accampamenti di Galaad, venne offerto a lui e al suo seguito, tra le altre cose, frixum cicer. — Galeno ne parla come di cibo rusticano. I Mauritani ne andavano ghiottissimi. Dioscoride assicura che il cece dà bel colore alla faccia. Gli antichi ponevano questo legume a segno d'incorruttibilità. I Persiani ne usano anche oggi come rinfrescativo. Vogliono che contenga molto acido ossalico e sia eccellente contro i calcoli, una volta almeno aveva tale virtù con quella di rafforzare la voce, fra i vari legumi che si usano per adulterare il caffè. Il cece è forse quello che meglio degli altri gli si avvicina, per cui in Francia lo chiamano cafè français, il quale caffè, invece da noi, si chiama semplicemente broeud de scisger.
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, mettervi della cenere, saranno più teneri e coseranno più presto. Da noi si mangia tradizionalmente colla carne porcina il dì dei morti, costumanza che
Chi à vitello in tavola non mangia cipolle. Chi è uso alla cipolla non vada ai pasticci. Chi mangia scalogne c... vento. Chi mangia scalogna assai dorme e mal si sogna.
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Chi à vitello in tavola non mangia cipolle. Chi è uso alla cipolla non vada ai pasticci. Chi mangia scalogne c... vento. Chi mangia scalogna assai
Sebbene il depravato gusto, o la bisogna Fan, che si mangi in villa la scalogna, Fuggir si deve come ria carogna, E lasciarla a chi suona la zampogna. Chi ne mangia, assai dorme e mal si sogna, Si lamenta del capo e de la rogna; Il dir ch'abbia virtude è una menzogna: Solo à di bon che rima con Bologna.
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. Chi ne mangia, assai dorme e mal si sogna, Si lamenta del capo e de la rogna; Il dir ch'abbia virtude è una menzogna: Solo à di bon che rima con
si fa nascere su letto caldo e si trapianta in aprile in luna vecchia. Avvene molte varietà: Il bianco grosso, da insalata, il piccolo, per aceto, il giallo precoce, il tondo a pelle ruggine ricamata, che à carne fina bianchissima, il verde lungo inglese, quello d'Atene, ecc. Il citriolo à odore suo proprio, raccogliesi il frutto acerbo, o mal maturo, e ridotto in fette si mangia in insalata con olio, aceto, sale e pepe. I piccoli si mettono in conserva nell'aceto, per mangiarli colla carne a lesso. I citrioli, per molti sono indigesti, per molti altri, rinfrescanti. Se cotti amano il lardo. Si fanno farciti come le zucche e servono come guarnizione. Dei citrioli tutti ne dissero male. Fu sempre reputato un cibo difficile a digerirsi. Galeno voleva che si abolisse dai cibi dell'uomo, come la più iniqua delle vivande, e Plinio asseriva che gli restava sullo stomaco fino al giorno dopo. Nerone ne era ghiottissimo e Tiberio ne mangiava ogni giorno, ma cotti. I milanesi per dire che una cosa vai poco, ànno il proverbio: la var trii cocùmer e un peveron. E per dare dell'imbecille ad alcuno lo chiamano un cocùmer. I citrioli erano una delle dolci rimembranze egiziane degli Ebrei nel deserto. Una ricetta di Dumas:
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suo proprio, raccogliesi il frutto acerbo, o mal maturo, e ridotto in fette si mangia in insalata con olio, aceto, sale e pepe. I piccoli si mettono in
L'Endivia è sorella germana della cicoria; con lei divide la patria e la maniera di essere coltivata. È caratterizzata dalle foglie più o meno frastagliate e ricciute e dalla loro radice grossa e breve in confronto della cicoria. Nel linguaggio dei fiori: Non sono sola. S'imbianca, quando è giunta ad una certa altezza, legando le foglie intorno al gambo. Si conserva anche d'inverno ricoprendola con stuoje, ecc. Si mangia cruda in insalata ed anche cotta a modo degli spinacci, ecc. (Vedi ricetta in Cicoria).
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ad una certa altezza, legando le foglie intorno al gambo. Si conserva anche d'inverno ricoprendola con stuoje, ecc. Si mangia cruda in insalata ed
Vicia da vincia, che si attorciglia, o con più ragione dal greco faga, mangiare, perchè gli antichi ne mandavano prima d'ogni altro legume. La fava è legume annuale, originario del mar Caspio e della Persia. Vuol terreno argilloso, sostanzioso, a mezzodì. Si semina d'autunno a febbraio. Due varietà: la invernenga e la marzuola detta cavallina, più piccola. Celebre la fava di Nizza. Nel linguaggio dei fiori: Corbellare. La fava fresca, da noi si chiama bagiana, si mangia in minestra. Essa si macina e serve anche pel bestiame, e conserva la virtù germinante per sei anni. La fava è feculenta e flatulenta, deve essere mangiata di rado e tenera. La fava specialmente secca, è cibo da carrettiere. È il più grosso dei nostri legumi mangerecci. Gli inglesi dicono che tutti i feculenti fortificano, la fava più d'ogni altro, e quegli agricoltori ànno un proverbio che dice: Cavallo che mangia avena parte bene, ma quello che mangia fave ritorna meglio. I gusci delle fave sono diuretici: 200 grammi di questi in un litro d' acqua, bolliti per due o tre ore, danno uno dei più lenti diuretici. I fiori sono ottimi per le api. Le fave secche si mettono a cocere in acqua fredda. Le galline che mangiano le fave, fanno l'ovo col guscio molto fragile.
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chiama bagiana, si mangia in minestra. Essa si macina e serve anche pel bestiame, e conserva la virtù germinante per sei anni. La fava è feculenta e
venta anche albero ramoso, spinosissimo. Vuole esposizione soleggiata e difesa, terreno buono, teme l'umidità, resiste al freddo. Si propaga per polloni, per innesto, vegeta lentamente. Mette le foglie ultimo di tutti, fiori piccoli, gialli, solitari, in giugno, frutti o bacche rosse della forma e grossezza dell'oliva, matura a tardo autunno. Conta alcune varietà. È originario della Siria, si rinviene anche spontaneo nelle siepi delle montagne calcaree di Val di Noto. Nel linguaggio delle piante: Sollievo. Il frutto, benchè più apprezzato della Lazzeruola, è poco utile, perchè da noi non matura abbastanza e però si mangia appassito. Il legno, assai duro, serve all'ebanista, al tornitore e piglia bon pulimento. Sesto Papinio, console sotto Augusto, fu quello che primo lo portò in Italia dall'Africa. Plinio lo chiama jujubas. La giuggiola è digeribile e può conservarsi secca. Se ne fanno decotti soavi e paste pettorali, ma questa è arte superiore. Il popolo che la vede e la mangia quasi sempre immatura dice per ironia: andare in broda di giuggiole.
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matura abbastanza e però si mangia appassito. Il legno, assai duro, serve all'ebanista, al tornitore e piglia bon pulimento. Sesto Papinio, console sotto
La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota. Vuolsi sia originaria dall'India e dall'Asia centrale. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni. Si semina da Marzo a Settembre, e la si preserva dai freddi coprendola; i semi ànno virtù fino ai 5 anni. S'imbianca come l'endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre conosciuta la sua azione soporifera, la quale risiede principalmente nei nervi della foglia. Galeno ne mangiava tutte le sere per procurarsi il sonno. Dioscoride e Celso l'avevano come succedaneo dell'oppio, ed è forse per questa sua proprietà d'addormentare che venne chiamata Erba dei Filosofi. Era opinione che la lattuga accrescesse il latte alle nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fu dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne seppellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in dimenticanza tale che non era neppure più coltivata verso la fine del 1600. Alcuni medici vollero emulare il Musa di Augusto. E Lanzoni la vantò contro l'ipocondria. Breteuil nelle convulsioni, Gouan nella nefrite e nell'itterizia, Schelinger nell'angina di petto, Brassavola nell'idropisia, Hudellet nelle febbri intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non lavata, la lattuga sia più saporita. Non va tagliata col coltello, a meno che la lama sia d'argento, ma si deve lacerarla colle dita. Colla lattuga si accompagnano assai bene le ova sode. Il proverbio dice:
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intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non
Borc pretende che gli antichi prima di cocerle lasciassero loro subire un principio di germinazione onde svilupparne meglio il principio zuccherino come si fa oggi coll'orzo tallito. La lente ebbe dei detrattori. Socrate e Galeno ne dissero assai male, niente altro che è autrice delle più grandi malattie e tra le altre del cancro, del sciro, della lebbra e della cataratta, decisamente come, dopo tanto tempo, Martin Lauzer assicura che la lente guarisce da 26 malattie, tra le quali la gotta, la cefalogia, l'afrodismo ed il vaiuolo. Al principio del 600 in Lombardia, teste Francesco Gallina medico torinese, correva il proverbio: Chi mangia lenticchie caga una secchia. Stile del 600. E però la lente è un legume saporito, nutriente e che si digerisce meglio passata allo staccio e spoglia di buccia. Roques dopo aver date molte ricette a cucinar le lenti,
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medico torinese, correva il proverbio: Chi mangia lenticchie caga una secchia. Stile del 600. E però la lente è un legume saporito, nutriente e che si
Ovidio scrisse: «Io trovo presso gli antichi scrittori che chi mangia lenti acquista pazienza d'animo». Pare però sia una freddura di Plinio sulla parola lente. Un proverbio dice che: la lente rilascia il ventre. Lenti alla Dumas. — Cotte in acqua le lenti, lasciale sgocciolare, mettete in casserola, con burro, prezzemolo trito, sale e pepe, mescolate al foco e servitele caldissime.
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Ovidio scrisse: «Io trovo presso gli antichi scrittori che chi mangia lenti acquista pazienza d'animo». Pare però sia una freddura di Plinio sulla
Il Màndorlo è pianta indigena a foglia caduca, originaria dell'Asia e precisamente della Siria e Barberia. Climatologicamente, occupa il posto tra la vite e l'ulivo. Ama il caldo, terre leggere e calcaree — languisce e muore nelle forti. — Si propaga per seme ed innesto su sè stesso. Nasce spontaneamente nella Sicilia, Spagna, Provenza, a Tripoli e Marocco, vegeta con prosperità sulle riviere di Genova. Fiorisce in Marzo ed Aprile, teme le brine ed il freddo. Se ne contano 9 varietà. La migliore è il màndorlo fino o princesse, il cui guscio si rompe colle dita. Alcune di queste varietà ànno frutto dolce, altre amaro, ma dall'albero mal si distingue il sapore del frutto. La maturanza si riconosce dall'aprirsi del pericarpo carnoso, il quale serve pel bestiame. Il suo nome dall'ebraico suo appellativo che significa vigilante, perchè è il primo albero che si risveglia, e perciò in linguaggio delle piante significa: storditaggine. L'uso della màndorla a tavola è assai svariato. Sì verde che secca, si mangia come frutta da dessert al cui scopo la più ricercata è la qualità detta saccarelle. Si confettano, se ne fanno varie paste dolci, fra cui l'orzata o semata di mandorle dolci che serve alla preparazione di una notissima bevanda. In Provenza si fanno essiccare al forno e sono di un sapore gustoso. Entrano nel torrone, nei biscotti, marzapani, crocanti, ecc., dove si mischiano pure le amare. La màndorla si pela sempre e, se secca, lo si fa facilmente immergendola nell'acqua bollente. Anche delle dolci l'epidermide che riveste i semi, giallognola se verdi, imbrunita se essiccati, à qualche cosa d'indigesto e di acre. Conservata a lungo la màndorla irrancidisce e per conservarla nella state, vuol essere di quando in quando esposta all'aria. Colle màndorle amare si fa una pasta che tiene morbida la pelle delle mani e del viso delle donnine, cosmetici e saponi. Le amare schiacciate o pestate, uccidono il pollame ed i volatili. Una volta si credeva fossero antidoto all'ubbriachezza. Plutarco riferisce che il medico Druso, fratello di Tiberio, tremendo bevitore, gli faceva inghiottire ad ogni bicchiere di vino, cinque màndorle amare, onde mitigarne gli effetti, ma pare che quel furbo di Druso le mangiasse per eccitare la sete, dicendo Eupoli che fanno venir voglia di bere:
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linguaggio delle piante significa: storditaggine. L'uso della màndorla a tavola è assai svariato. Sì verde che secca, si mangia come frutta da dessert al cui
Pianta annua dell'Asia, Africa ed America, il cui frutto è bislungo, cilindrico, color pavonazzo, giallo o bruno, a norma delle varietà. È detto anche ovo vegetale. Il seme germoglia fino agli 8 anni. Si semina in aprile e maggio, si coglie in agosto e settembre. L'Ovigerum, varietà a frutto bianco, à la forma dell'uovo, e dai Milanesi è detto Œuf de pola. Vuole buon terreno, molto sole e frequenti irrigazioni. Gli ovali sono i più delicati. La polpa della melanzana è bianca e succosa. Levata la sua innata amarezza mediante infusione nell'acqua, costituisce un cibo abbastanza grato, nutritivo e di facile digestione. Conviene spogliarla dalla buccia. Concilia il sonno, nel linguaggio delle piante significa appunto: mi fai venir sonno. Si taglia a fette per le zuppe e minestre. Nei paesi caldi, immatura, si mangia in insalata e cruda coll'olio e pepe, e cotte si mettono in aceto. In Egitto si coce sotto cenere. Nel genovesato si riempie come le zucchette. Altrove, pelata, si taglia a fette, si triffola, si imborag[gia] coll'ovo e farina e si frigge. Pelata e bollita in acqua per due minuti, si secca al forno e si conserva per l'inverno. Colle foglie si fanno decotti, cataplasmi, e questi anche colla polpa del frutto. Il suo nome Melanzana, dal latino Mela insana, perchè la dicevano di diffìcile cottura e digestione. I Greci, al dire di Galeno, la usavano pochissimo. Dioscoride ne predica il gusto innocente. Teofrasto lo accusa di essere di nessun nutrimento. Il Durante le dedica un verso calunnioso e bugiardo:
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taglia a fette per le zuppe e minestre. Nei paesi caldi, immatura, si mangia in insalata e cruda coll'olio e pepe, e cotte si mettono in aceto. In
Pianticella gramignacea annuale, originaria delle Indie. Se ne contano 3 varietà, secondo il colore del seme, bianco, gialliccio e nero. Da noi si coltiva solamente il gialliccio, e vuol terreno sciolto, pingue, solatio. Si semina, raro, in giugno e luglio, dopo la messe. Si chiama miglio, dai mille semi che produce. Anche il miglio dà farina per alimento. Lo stesso nome antico di panicum, indica che serviva a far pane. Da noi si dice ancora pan de mej, perchè una volta anche da noi se ne usava, onde il sonetto del Burchiello: Perchè a Milan si mangia pan di miglio ? Plinio al lib. 28, cap. 10, dice:
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de mej, perchè una volta anche da noi se ne usava, onde il sonetto del Burchiello: Perchè a Milan si mangia pan di miglio ? Plinio al lib. 28, cap
. Appare, da qui, che ai tempi di Plinio si coltivava la varietà bianca, e che fino d' allora il miglio serviva per chicche da offelleria. In Asia se ne fa una certa polenta che si mangia con olio e grasso di porco. Del resto, era usato come farina da pane nell'Etiopia, nell'Egitto, Persia, Siria e nell'Arabia. I semi del miglio si possono cocere in minestra col brodo e massime col latte, se ne fa torte. Ridotto in farina è bono a far polenta e pane, che appena uscito dal forno è saporitissimo e non isdegnato dai gusti più delicati. Il Tanara insegna a fare colla farina di miglio molte cose e, tra le altre, gli Strozzapreti, che sono certi gnocchetti, cotti nel latte, involti in cacio parmigiano grattato, con assai burro. Raccomanda di conservarne una parte per la cena, perchè, sono così ghiotti, che non si possono assaggiare, senza lasciare il piatto vuoto e perchè riscaldati acquistano saporitissima e migliore bontà. La farina serve pure in pasticceria. Col miglio si alimentano i pulcini, le galline, il pollame e molti uccelli. I selvaggi lo arrostiscono. In Tartaria se ne compone una specie di birra e una certa acquavite che chiamano Bysa. Il miglio dev'essere conservato in luogo assai asciutto e dura così più d' ogni altro grano. Nel miglio si conservano benissimo nell'estate le ova ed il salame crudo.
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ne fa una certa polenta che si mangia con olio e grasso di porco. Del resto, era usato come farina da pane nell'Etiopia, nell'Egitto, Persia, Siria e
à frutto più grosso e tondeggiante, di sapore meno marcato e meno ricca d'olio. Nel linguaggio delle piante: Pace, riconciliazione. La maturanza della nocciola è riconoscibile quando l'involucro di essa prende un color giallo. Per conservarla sana per molto tempo, si mette nella crusca o segatura di legno. Per estrarne l'olio non si deve aspettar molto tempo, perchè si guasta presto. Se ne mangia il frutto fresco e secco, che è gustoso, ma indigesto, disturba la digestione, e in quantità ingombra i visceri. È ghiottoneria dei ragazzi, bisogna masticarla bene, e secca è meno digeribile. Dice un proverbio: Chi mangia nocciole, il capo gli duole. I confetturieri la coprono di zuccaro, l'abbrustoliscono. L'olio che se ne estrae è dei migliori ed è utile per tossi, linimenti, reumi, purghe, ecc., ed il tortello residuo serve a fare una pasta preferibile a quella delle màndorle comuni. Il legno pieghevole del nocciolo somministra ai bottai ottimi cerchi per tinozze e barili, ai canestrai verghette flessibili per mille industriosi ripieghi, abbruciato, dà un foco dolce, carbone per disegno ed eccellente per fabbricare polvere pirica. In S. Pietro di Roma, i penitenzieri, nelle grandi circostanze di feste, giubilei, indulgenze, ecc., danno l'assoluzione ai penitenti inginocchiati davanti al confessionale, toccando loro le spalle con bacchette di nocciolo. La bacchetta di nocciolo era indispensabile nelle arti divinatorie, era la bacchetta dei maghi, come dopo, fu quella dei maestri della dottrina cristiana nelle chiese, degli elementari nelle scuole e dei professori di Seminario, tanto che la niscioeula è pei milanesi sinonimo di bacchetta. Nè voglio dimenticare i caporali austriaci, che prima del 1848, la portavano al fianco colla sciabola, e l'adoperavano per il bankheraus, onde: mollaj gió secch come i niscioeur. E che
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di legno. Per estrarne l'olio non si deve aspettar molto tempo, perchè si guasta presto. Se ne mangia il frutto fresco e secco, che è gustoso, ma
Se ne fa farina e pane misto a frumento. La si mangia sola, lessata, o cotta sotto la cenere. La patata si coce in mezz'ora. Non lasciarla, lavandola, molto nell'acqua, altrimenti diviene molle e pesante, e perde la farinosità. Meglio cocerla a vapore in 35 o 40 minuti, pelarla subito e servirla in piatto scoperto. Si deve sempre farla cocere nella sua pelle onde conservi il suo sale di potassa e tutto il suo sapore, nè dovrebbesi tagliarla con lama di ferro. In cucina serve in mille modi, a tavola fa capolino in tutte le vivande, in tutti i piatti; caccia il naso persino nella pasticceria. La patata è il pane degli Inglesi. Non si può immaginare Svizzera senza kartoffeln. La cucina tedesca è basata sulla patata. Non c'è brodo, minestra, intingolo o vivanda ove la patata non ne sia il principale costituente. Ogni città, ogni borgata le dà nomignoli particolari di tenerezza: Tüfken, Töffelken, Toffein, Tartuffein, Erdtuffeln, Erdäppel, Erdbirnen, Grundbirnen, Erdboknen, Batalen, Patatos, Potatos, Kartoffeln, Oebiswarzel, ecc. Se non ci fosse la patata bisognerebbe inventarla per loro.
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Se ne fa farina e pane misto a frumento. La si mangia sola, lessata, o cotta sotto la cenere. La patata si coce in mezz'ora. Non lasciarla, lavandola
Nel linguaggio dei fiori: rabbia.È detto peperone quasi pepe grande. Ve ne sono dieci varietà, tra queste: il comune, lo storto, a ciliegia, dolce del Brasile, tondo, di Spagna, di Voghera detto capsicum grossum, carnoso corto ed altre. Quello di Cajenna è piccolo e più forte di tutti. È il capsicum fructescens, di Linneo. In Francia lo chiamano: corail de jardin, perchè, dal color verde lucido, passa nella sua maturità ad acquistare il rosso vivo del corallo, senza perdere della sua lucentezza. È di questo che si fa la famosa paprika in Ungheria. Tutta la pianta à sapore acre, piccante, calido, ma principalmente i frutti, e del frutto i semi sono più piccanti ed acri del pericarpio. I frutti verdi ed immaturi si conservano per uso di tavola nell'aceto, che ne mitiga l'acredine. Rossi, maturi, essiccati e ridotti in polvere costituiscono ciò che si chiama pimento, o pepe di Cajenna, che à pur esso i suoi usi culinari come la più piccante delle droghe indigene. Il peperone vuolsi originario dell'Africa intertropicale, donde fu portato dai negri in America e poi in Europa. I primi che l'introdussero furono i Portoghesi che le chiamavano pimenta del rabo, cioè pepe colla coda. Ma visto che il peperone faceva concorrenza al pepe e temendo di danneggiare il commercio del vero pepe il re del Portogallo ne proibì l'importazione. Tale peripezia del peperone ce la racconta Carlo Clusio in certe sue annotazioni dell'anno 1582. Comunque sia è certo che a noi pervenne dall'America e che prima era sconosciuto. Si chiama capsicum dal vocabolo greco che significa mordere, per indicare il suo sapore caustico. Il pimento, è uno degli stimolanti più attivi del ventricolo, risveglia l'appetito, corregge il languore e l'atonia intestinale, sopprime le flattuosità ed è rimedio infallibile contro le coliche prodotte da carne di pesce. Caccia le ascaridi, giova contro le emorroidi, secondo l'Accademia di Parigi. Eccellente il pimento per condire verdure, pesci e in certe salse. Il capsicum grossum di Voghera si mangia verde all'olio, e scottato nell'acqua bollente e diviso in quattro parti, toltine i semi si possono imboraggiare e farli fritti. I milanesi dicono anche peveron un naso rosso, grosso e bernoccoluto.
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condire verdure, pesci e in certe salse. Il capsicum grossum di Voghera si mangia verde all'olio, e scottato nell'acqua bollente e diviso in quattro
Nel linguaggio delle piante: Ardore costante. La pera è frutto squisito, di facile digestione; quando è matura offre i più svariati sapori. Si mangia fresca e cotta giuleppata, come la poma e le altre frutta ed insieme a loro. Da noi, la pera è consumata quasi interamente allo stato fresco, ma si fa pure essiccare e si conserva per l'inverno. Anche anticamente serviva a dare un liquore spiritoso, spumante, analogo al sidro delle poma, ma alquanto più alcoolico. La pera estiva, dà anche maggior quantità di sugo che non la poma ben matura. Se ne estrae acquavite bonissima. Il legno del pero è durissimo, unito, compatto e viene adoperato dai tornitori ed ebanisti, che lo colorano in nero per darci il falso ebano; dà un fuoco forte. La Scuola salernitana dice del pero:
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Nel linguaggio delle piante: Ardore costante. La pera è frutto squisito, di facile digestione; quando è matura offre i più svariati sapori. Si mangia
È saporitissima, salubre, profumata, di facile digestione, si mangia fresca e si fa seccare per l'inverno, e allora si chiamano da noi veggitt. I cuochi ne fanno fritture, polpettine, persicata, sorbetti, marmellate. Il loro delicato aroma è si sfuggevole che invano si tenta fissarlo completamente nelle conserve, nei liquori. In America, dove molto abbonda, se ne fa eccellente acquavita. I nostri vecchi dicevano, che del persico tutto va mangiato fuorchè il duro dell'osso.
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È saporitissima, salubre, profumata, di facile digestione, si mangia fresca e si fa seccare per l'inverno, e allora si chiamano da noi veggitt. I
Noto legume annuale. Quello detto campestre nasce spontaneamente in alcune parti d'Italia e di Germania. Ma il sativum è quello coltivato negli orti. Àvvene molte varietà. Il pisello germina fino ai 3 anni. Il nano (P. humile) primaticcio olandese, da noi detto anche quarantin. Il quadrato (P. quadratum) o reale, bianco e verde, l'umbrellatum, che è piuttosto d'ornamento nei giardini. L'excorticatum, o, pisum sativum cortice eduli, pisello dolce zuccherino che si mangia unitamente al guscio, detto in francese Pois goulus e da noi taccole, ed altre. Nel linguaggio dei fiori: Confidenza. Si può seminarli in varie epoche ed averli tutti i mesi. Il pisello ama terreno leggero, sostanzioso, lavorato e soleggiato; non vuol essere riseminato nel medesimo luogo. Si fa seccare e si conserva per l'inverno. La varietà verde, in Francia, è coltivata su larga scala. In Inghilterra si coltiva il pisello per alimentare le pecore nell'inverno. Vuolsi che il nome di pisello l'abbia da Pisa, antichissima città del Peloponneso, da dove sembra venuto in Italia, come vennero alcuni abitanti di quella Pisa a fabbricare la nostra sull'Arno, che pure battezzarono Pisa, teste Strabone. Altri lo vuole dal nome originario del legume in lingua celtica, o dal vocabolo greco, che significa cadere. Il nostro nome di erbion pare sia un corrotto dell'Arneja spagnuolo o un prolungamento dell'erbse tedesco. Il pisello fu sempre ritenuto uno dei più graziosi legumi. La storia ci tramanda che aveva l'onore delle tavole reali. Gli autori greci e latini ne parlarono tutti con vera benevolenza; i più maldicenti, lo accusano di flattulenze. Perfino l'austerissimo Eupolim, forse il più antico commediografo greco, ne fa menzione onorata. L'imperatore Tito ne andava matto. I medici, non potendone dire male, come al solito, lasciano però scappare qualche bieca osservazione. Baldassare Pisanelli, medico bolognese, nel suo Trattato dei cibi et del bere, dice: «I piselli non sono molto differenti dalle fave, ma fanno venire sospiri et inducono strane meditazioni.» Con sua bona pace, il pisello è l'ottimo fra i legumi, digeribile, saporito, nutriente. Plinio aveva già sentenziato:
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zuccherino che si mangia unitamente al guscio, detto in francese Pois goulus e da noi taccole, ed altre. Nel linguaggio dei fiori: Confidenza. Si può
. Si mangia cruda, cotta, secca e confettata. I cochi ne fanno fritture, charlottes, marmellate, la uniscono alle paste (lacciadin). In alcune contrade settentrionali, meno predilette dal cielo, dove il sole non matura i pampini, la mela acquista molta importanza economica, per la fabbricazione del Sidro, celebre quello di Normandia. È bevanda che può supplire il vino, e, al pari di questo, contiene dell'alcool, ma giammai del tartaro. Se ne fabbrica anche da noi a sofisticare o simulare il vino bianco, massime quello d' Asti. Riesce meno spiritoso e spesso incomodo, perchè genera flatulenze. Il sugo delle mele agre, serve a far aceto, che si conserva molto tempo. Le agre fanno perdere la memoria, dice il Pisanelli. Galeno parla pure di un succo liquore delle mele, che sarebbe il sidro, che si vuole inventato da Publio Negro, che lo fabbricavano pure i Mormoni e lo trasportavano in Brittannia. In medicina, sono rinfrescative, lassative, pettorali. Se ne fa decozione e sciroppo nelle tossi catarrali. La polpa cotta, onde il nome di pomata, fu usata come emolliente nelle flogosi oculari, e fa parte della pomata del Rosenstein, contro le regadi della lebbra e de' capezzoli. La poma selvatica à virtù astringenti, detersive. Il legno del pomo è di grana fina, prende facilmente pulitura, è uno dei migliori da fuoco. Il pomo è frutto cosmopolita e vanta la più antica delle prosapie. Iddio, dopo aver creato la luce e divise le aque dalla terra, creò il pomo. Eva lo trovò bello e saporito e lo mangiò e lo fece mangiare ad Adamo, e da quel pomo l'origine e la serie d' ogni disgrazia.
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. Si mangia cruda, cotta, secca e confettata. I cochi ne fanno fritture, charlottes, marmellate, la uniscono alle paste (lacciadin). In alcune
Il cotogno è pianta indigena, a foglia caduca, originaria dalla Grecia. Vuol terreno sciolto, fresco, clima caldo, teme il vento. Si propaga per barbatelle, semi, tallee. Conta poche varietà: il comune, o cotogno di China (Cydonia Sinensis)a frutto piriforme ed oblungo molto grosso ed il cotogno di Portogallo (C. lusitania), che è il migliore. In aprile e maggio dà grandi fiori bianchi o di un rosso pallido. Frutti gialli in ottobre. Nel linguaggio delle piante: Fastidioso. Il suo nome Cydonia, da Cydon, città dell'isola di Creta, fondata da Cidone, figlio di Apollione, da dove venne in Italia. I Greci lo chiamavano: Crysomela, Catone:cortonea, Virgilio: mela aurea, perchè maturando acquista color giallo dorato (Buc, Egl. III, n. 73): aurea mala decem misi, cras altera mittam. Evvi chi vuole che il suo nome venga da coctognus, il che si potrebbe spiegare da ciò, che si mangia coctus, perchè crudo è insipido. La cotogna è frutto grosso come una mela ordinaria, carnoso, giallo anche nella polpa, di odore penetrante, che facilmente comunica agli oggetti vicini e si forte che non si può, senza incomodo, tenerlo nelle camere d' abitazione. À sapore sì astringente ed agro, che è impossibile mangiarlo crudo, lo perde però colla stagionatura, coll'essiccazione, colla cottura, ed
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): aurea mala decem misi, cras altera mittam. Evvi chi vuole che il suo nome venga da coctognus, il che si potrebbe spiegare da ciò, che si mangia coctus
Il ramolaccio, o armoracio, è radice annuale, indigena, originaria della China o dell'Asia Minore. Vuole terreno sciolto, pingue e buona esposizione, abborre il massimo caldo. Il seme à virtù per 5 anni. Avvene molte varietà, sì per grandezza che per forma e colore. I bianchi grossi e i ruggini dolci, d'estate si seminano da marzo a giugno, per averne in estate ed autunno. I rotondi, o lunghi, sia bianchi che neri forti, dal giugno a settembre, per averli dall'autunno a primavera. Il ravanello è bianco o rosso, rotondo o lungo, o rosa lunghissimo di Firenze. Si può seminarlo tutto l'anno ed averne tutti i mesi. Meglio seminarlo appena terminati i geli. La miglior semente è quella dell'anno antecedente. Avvi pure il ravanello serpente (raphanus caudatus) di Oiava, ancora poco conosciuto, che à lunghissimi baccelli terminali che possono prolungarsi lino a un metro, di gusto piccante, e che, verde, si pone in aceto. Il ramolaccio e il ravanello addivengono stopposi, bucherati o tarlati, e ciò dipende dalla qualità della terra (che amano terreni forti, tenaci ed asciutti), o al lasciarli troppo nella terra dopo sviluppati, o al conservarli qualche giorno dopo colti. Nel linguaggio delle piante: Dispetto. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo stomaco e diffìcile a digerirsi. Fu detto che il ramolaccio fa digerire tutto, ma egli non è digeribile:
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delle piante: Dispetto. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo
Radice erbacea annuale, indigena, di patria ignota, che vuol terreno ricco, leggero, fresco. Si semina tutto l'anno, si raccoglie come la patata, i semi durano fino al settimo anno. Varietà: lunga dolce (hortensis), quando è cotta chiamasi da noi: bojocch, la rotonda à radice compressa. La rapa è carnosa, dolce, di facile digestione, di sapore ignoto, e contiene il 92 per cento d'aqua. La rapa è più saporita da ottobre a febbraio. Si sfetta nelle zuppe, nelle minestre, si mangia condita col burro, formaggio e spezie, in salsa bianca, in insalata, si frigge. Si marita bene al montone e all'anitra. La sua semente dà olio da ardere. Dal sugo espresso e fermentato, se ne può cavare spirito pure da ardere. In Francia, Belgio ed Inghilterra si coltiva la specie gialla per foraggio, e vi vengono grossissime. Il suo nome di rapa, viene da rapere, verbo latino, che significa rubare, perchè le rape mangiandosi crude dai Romani, si rubavano volentieri dai passanti nei campi. Nel linguaggio delle piante: Sei scipito. Pare che presso gli antichi fosse un cibo ghiotto, perchè tutti ne parlano. Marziale ne vantava il sapore allorchè anno sentito il freddo.
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nelle zuppe, nelle minestre, si mangia condita col burro, formaggio e spezie, in salsa bianca, in insalata, si frigge. Si marita bene al montone e all
Il rapunzolo o rapenzolo, è una radice erbacea bisannuale della grossezza del mignolo, perenne, indigena, bianca, fragile, carnosa e tenera. Dà fiori, da maggio a settembre, di un turchino pallido in pannocchie terminali: à seme minutissimo. Il suo nome dalla sua somiglianza colle rape. Nel linguaggio delle piante: Delizia campestre. I semi germinano per 5 anni. Si propaga meglio dividendo gli stelloni o la sua radice. Vuole terra leggera e alquanto sabbiosa, esposizione fresca e ombrosa. Cresce naturalmente intorno alle roccie, ai vecchi muri e nei prati di campagna. Codesta radice è mangereccia, saporita e di bon gusto, ad alcuni riesce un po' indigesta. E fiori e radici forniscono una delle più delicate insalate. Si usa molto in Toscana e massime a Firenze. Si mangia tanto cruda che cotta e anche fritta. Merita di essere coltivata negli orti per la sua bontà. Il raccolto si fa da gennaio a febbraio e si continua fino a che le piantine non emettano il fusto seminale. Coltivata diviene più grossa. A virtù alquanto tonica. Plinio la chiama Rapa sylvestre. I Francesi: Petite raiponce de Carème. Un giornale francese raccontava che Bèranger era ghiotto di questa radice e ch'era la delizia delle sue dinettes primaverili.
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e massime a Firenze. Si mangia tanto cruda che cotta e anche fritta. Merita di essere coltivata negli orti per la sua bontà. Il raccolto si fa da
Pianticella annuale gramignacea, aquatica, originaria della China e delle Indie Orientali, che dà il grano da tutti conosciuto. Il suo nome, riso, dal greco Oryza, derivato anch'esso dall'arabo Eruz. Dopo il frumento è l'alimento più sano e nutritivo. Il riso nasce, vegeta e matura nell'acqua, ed ama tutta la pompa del sole: non può vivere senz'acqua e senza sole. Nel linguaggio dei fiori: Ricchezza. Si coltiva dappertutto. Il riso per essere bono, dev'essere novo, ben mondato, ben netto, grosso, bianco, che non sappia di polvere nè d' altri odori. Il riso di più difficile cottura è il più saporito. Col riso si fa pane, il quale è assai bianco e di bon gusto, ma non s'inzuppa bagnandolo. Ma l'uso principale del riso è nella cucina. Nazioni intere se ne fanno il loro nutrimento quotidiano. Il Pilao dei Cinesi non è che il riso. Si coce da noi ogni giorno in minestra, al grasso, al magro, col burro, col latte, coll'olio. Si mescola con ogni sorta di legumi, erbaggi e carnami, se ne fanno torte, pasticci, frittelli, tortelli. Universalmente lo si fa cocere sino all'intero disfacimento, solo da noi si mangia, come si dice, al dente. Sarà forse per effetto di assuefazione, ma da noi lo si trova più saporito così. La cucina milanese, à dato al mondo col riso quel capolavoro che si chiama Risotto, il vero monopolio del quale, per quanto si sia fatto, non si è ancor tolto dalle mani dei veri Milanesi. Alcuni asseriscono che da noi il riso venne introdotto nel secolo XVI, ma è certo che in Italia invece era anticamente conosciuto. Plinio scrive che in Italia
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. Universalmente lo si fa cocere sino all'intero disfacimento, solo da noi si mangia, come si dice, al dente. Sarà forse per effetto di assuefazione, ma da noi lo
Il nome di rosa dal greco rhodon, rosa, o dal celtico roag che significa rosso. La rosa è la regina dei fiori, la figlia del cielo, il sorriso della primavera, l'emblema dell'innocenza e della fugace bellezza femminile. Le sue varietà si contano a migliaia. Qui non dirò che della canina, la quale è la più semplice di tutte le altre. Fu detta rosa canina o rosa di cane, perchè fu creduto, fino dall'antichità, che la sua radice fosse efficace contro la rabbia del cane. Anche i Greci la chiamavano cinorrhodon, da don, cane e rodhon, rosa. Da noi si chiama anche Rovo. Nel linguaggio dei fiori, la rosa canina significa: Indipendenza. È un arboscello indigeno che viene lungo le siepi di montagna, nei luoghi aprichi, che dà in maggio una rosetta pallida, semplice, di cinque foglie. Ai fiori succedono alcune frutta ovali, bislunghe, rosse come il corallo nella loro maturità, la di cui scorza è carnosa, midollosa, d'un sapor dolce-aciduletto e che racchiude alcune semenze, inviluppate d'un pelo consistente, che attaccandosi alle dita penetra nella pelle e vi cagiona molestie. Tali semi posti nel letto ad alcuno per celia fecero sì che questo frutto prese il nome poco castigato di grattaculo. Un mio amico ingegnere mi assicura che tal nome viene da ciò, che i sullodati semi, producono a chi li mangia un lieve prurito, precisamente in una località indicata nella seconda parte di quel disgraziato vocabolo e vi richiama l'azione indicata pure nella prima parte del surriferito disgraziato vocabolo. Tale appellativo, non si vorrebbe mai pronunciare dalla gente pudibonda, ma che è pure registrato presso i più seri botanici; è costretta a ripeterla, colle gote vermiglie, anche la damigella sortita di collegio, se vuol dimandare di quel delizioso sciroppo che danno i prefati grattaculi. Il Cherubini nota che da alcuni viene chiamata salsa di ciappetti, ma è un eufemismo. Il quale eufemismo è una figura rettorica incaricata di stendere un velo si, ma trasparente, su
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grattaculo. Un mio amico ingegnere mi assicura che tal nome viene da ciò, che i sullodati semi, producono a chi li mangia un lieve prurito, precisamente in una
Il sedano o selino è pianticella erbacea, biennale, indigena, à radice tuberosa, di sapor forte, piccante, odore aromatico, nasce naturalmente nelle paludi torbose del Po, si semina in primavera, si trapianta. Il seme dura per 8 anni. Ama bona esposizione, terra grassa, copiosi inaffiamenti. Si imbianchisce rivestendolo e rincalzandolo di terra, si difende dal freddo coprendolo collo strame. Nel linguaggio delle piante: Spiritosità. Diverse varietà, le migliori il bianco e violetto a costa ripiena, il sedano rapa (apium radice rapacea) à la radice che si gonfia e raggiunge ragguardevoli proporzioni. Il sedano è della famiglia del prezzemolo e serve tanto la foglia che la radice, a condire com'esso e a dar sapore a legumi, verdure, carni, ecc.; entra in molte salse. Lo si mangia crudo con pepe, sale ed olio ed in insalata. Lo si frigge, massime il sedano rapa (del quale si mangia solo la radice), lo si cuoce in stufato, se ne fa un delicatissimo purè. A Napoli lo si chiama accio (da Appio). Il sedano e massime il seme è eccitante e per alcuni indigesto. In Oriente è usato il seme contro il mal di mare. Fino dal tempo di Ippocrate, veniva usato per soffumigi contro l'emicrania:
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, ecc.; entra in molte salse. Lo si mangia crudo con pepe, sale ed olio ed in insalata. Lo si frigge, massime il sedano rapa (del quale si mangia solo la
. In Grecia, teste Galeno, lo si mangiava in insalata: oleo et aceto confecto: ma da molti veniva creduto produrre epilessia e cecità. Plutarco ci ricorda che era proverbio: abbisognare di sedano quelli che sono male in gamba: qui deplorata sunt valetudine. I Romani s'incoronavano di sedano nei conviti onde preservarsi dall'ebbrezza. Il sedano lo si vuole un leggero eccitante, lo si può ritenere non solo sano, ma un vero medicamento. In Inghilterra lo si prescrive in uso giornaliero alle persone nervose, onde fortificarle. Calma e combatte le palpitazioni, ed è utilissimo nelle affezioni reumatiche. Alle tavole inglesi si trova la polvere dei semi di sedano grattugiata come il cren, macerata nell'aceto con un poco di sale. Da noi il sedano lo si mangia per gradito antipasto. Con la polvere del suo seme, meglio del selvatico, se ne fa un unguento per i pidocchi.
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lo si mangia per gradito antipasto. Con la polvere del suo seme, meglio del selvatico, se ne fa un unguento per i pidocchi.
Lo spinacelo o spinace di orto, è pianticella erbacea annuale, indigena, originaria dall'Asia. Vuol terreno sciolto, sostanzioso, grasso, lavorato, si semina da gennaio a tutto settembre per averne l'anno intero. Il seme dura per 5 anni. Nel linguaggio dei fiori dice: Confidenza. Pongasi cura a coprirlo leggermente dal freddo e a tenerlo pulito dalle erbe selvatiche. Fra le varietà di spinacci notiamo quello d'Inghilterra a semi pungenti, a lunghe foglie, quello d'Olanda a foglie rotonde, di Fiandra, quello a foglie di lattuga larghissime, infine la recente varietà Viroflay, la quale sorpassa in prodotto tutte le altre. Lo spinacelo è cibo leggiero, ma gustoso e sano. Chi lo cuoce asciutto e chi all'aqua; migliore il primo metodo. Si mangia in minestra, triffolato, si frigge, si marina. Se ne fa torte e puree, si marita alla frittura e colle lumache. Gli spinacci sono leggermente lassativi e non convengono a tutti gli stomaci. Fu portato lo spinaccio dagli Arabi in Spagna e dalla Spagna in Italia, e dapprima erano detti spagnacci, d'onde la corruzione spinacci. Serapione invece assevera che in lingua araba sono detti spanacli. Altri invece vogliono il suo nome da spina, perchè la sua semente è a punta spinosa. Opinano alcuni scrittori che lo spinaccio non fosse conosciuto dagli antichi, ma pare che fossero da questi indicati sotto il nome di atriplex e blitum. Greci e Latini convengono che l'atriplex e il blitum erano:
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mangia in minestra, triffolato, si frigge, si marina. Se ne fa torte e puree, si marita alla frittura e colle lumache. Gli spinacci sono leggermente
tartufo una ballata, perchè avendone mangiato troppo gli produssero una colica. Ancora nel 780 era raro a Parigi. Nel secolo XVI l'uso del tartufo era frequente in tutta Italia. Il Mattiolo ne parla come di un piatto prelibato di grandi case. Platina, l'istoriografo dei Papi, vanta quelli di Norcia nell'Umbria, dove nella vicina Bevagna doveva nascere di lì a poco Alfonso Ceccarelli, celebre autore dell'opuscolo sui tartufi. E il tartufo che era già comparso ai fins soupers de la Regence e del Direttorio, diventa ospite pressochè quotidiano alle mense dei marescialli dell'impero e trova in Brillat-Savarin il suo corifeo ed il suo poeta. Egli lo chiama il Diamante della cucina, Dumas s'inchina profondamente davanti al tartufo, lo adora, e nella sua adorazione non può che ripetere che il tartufo è il sacrum sacrorum. Invano i suoi nemici, la medicina ed i casisti, lo combattono. Avicenna dice che occasiona l'apoplessia e la paralisi — altri che genera la melancolia e la lebbra — altri, che è uno stimolante afrodisiaco. Il tartufo s'impone come cibo salubre, nutriente ed eccitante la digestione, quando è preso in debita misura. «Che ne pensate voi del tartufo?» domandava un giorno Luigi XVIII al suo medico Portal. «Scommetto che voi lo proibite ai vostri malati!» — «Sire, io lo credo un poco indigesto,» mormorò Portai. — «Il tartufo, dottore, non è ciò che pensa il volgo,» soggiunge il re e ne fe' sparire un bel piatto. Talleyrand intratteneva spesso Napoleone sui modi migliori di cucinarli. Byron li adorava, li mangiava sempre coi maccheroni e il grande poeta diceva di non voler mangiare i maccheroni coi tartufi, ma i tartufi coi maccheroni. George Sand chiamò il tartufo, che stimava assai, la pomme de terre fèerique. Rossini, da quel ghiottone ch'era, ne andava pazzo; è a lui che si deve l'invenzione della salade aux truffes. Il tartufo ammuffito produce vomiti ed acute coliche con altri malori cagionati dal parassita che vi nasce. Il tartufo à solo due difetti, di essere indigesto se se ne mangia troppo, e di essere caro. Michele Savonarola raccomanda agli intemperanti in fatto di tartufi, di temer Dio se non temono la colica: consiglio che agli epicurei non à mai fruttato un corno.
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parassita che vi nasce. Il tartufo à solo due difetti, di essere indigesto se se ne mangia troppo, e di essere caro. Michele Savonarola raccomanda agli
I Greci in Italia, i Francesi nelle Gallie, ecc. Ma il trovarla anche fra noi spontanea ed incolta nei boschi, fa perdere la fede a quel blasone di esotica nobiltà. Il nome vite, vuolsi da parola celtica che significa albero, ma meglio lo si deriva dal latino vis, forza. Nel linguaggio delle piante significa: Ubbriachezza. Uva viene da uvidus, pieno, pingue. L'uva, dice il Mantegazza, è frutto allegro, dolce, bello, galantuomo, rinfresca e nutrisce; l'uva è il più utile e proficuo dei frutti. «Più della poma delicata è l'uva», cantò Fracastoro. Oltre il principale uso che si fa dell'uva — il vino — essa si mangia allo stato fresco, allegra la tavola, serve al cuoco nella cucina, al pasticciere per la credenza e la dispensa. I fiori ànno una fragranza gratissima, che ricorda quella dell'amorino, servono ad aromatizzare vini e liquori. Prima delle sua maturità si chiama agresto e giova nelle idropisie adipose. II succo dell'uva acerba, detto dai latini omphacium, e da noi agresto, esprime già col nome il suo sapore stittico. In sostituzione di agrumi e di aceto, lo si adopera a far salse, bevande rinfrescanti e sciroppi in farmacia. Dai semi se ne cava un olio grasso di colore giallo-verdognolo, di sapore spiacevole, che arde con fiamma brillante, senza molto fumo. Un ettolitro di semi può dare in media 8 chilogrammi di olio. Si fa pure un rob o sciroppo d'uva, che i Romani chiamavano sapa, che si ottiene riducendo il mosto a due terzi, od a metà, mediante lenta ebollizione ed evaporazione. Distillando il vino e le vinaccie si ottiene, prima impuro, poi con altre ripetute distillazioni, rettificato e purissimo, l'alcool. Il primo risultato dà l'aquavite, il secondo lo spirito di vino. L'uva matura è il più salubre dei frutti e se ne può mangiare e rimangiare senza pericolo, producendo tutt' al più un po' di mossa di corpo. I medici consigliano la cura dell'uva, e questa cura la chiamano ampeloterapia (dal greco ampelos, vite, e therapeyo, servire), che consiste nell'uso dietetico, sistematico dell'uva come alimento principale (
Il re dei cuochi della cucina vegetariana
vino — essa si mangia allo stato fresco, allegra la tavola, serve al cuoco nella cucina, al pasticciere per la credenza e la dispensa. I fiori ànno
L'uva di mattina chi ne mangia un graspo ne e... un tino. È triste consiglio, mangiar la madre e poi bere il figlio. Per Santa Giustina (7 ottobre) l'uva è tutta balsamina.
Il re dei cuochi della cucina vegetariana
L'uva di mattina chi ne mangia un graspo ne e... un tino. È triste consiglio, mangiar la madre e poi bere il figlio. Per Santa Giustina (7 ottobre) l